Intenzione: non è mai un buon modo per affrontare una faccenda.
Intenzione, intenzione, borbottavo durante la visione del film di Scorsese, cullato dalle scenografie di Dante Ferretti. Non è il modo di intendere una storia.
Perché si fanno le cose?
Per quale motivo esatto si fanno certe cose, perché si dicono certe cose, non se ne dicono altre?
Non è un buon motivo di intendere le cose, non è un buon motivo per valutare le cose. Pensavo questo, al cinema una sera.
Ma perché pensavo a queste cazzate?
Parentesi.
Leggendo questo articolo, ma non è quello a cui devo pensare per scrivere questo testo, un lettore ipotetico si domanderà: Benissimo, ma è un Sì o è un No? Approvi o no l’ultimo film di Scorsese, Silence?
Qual’è il tuo giudizio ultimo su questo film? E più semplicemente:
Sì o No?
Un pensiero binario, semplice semplice, niente di più: un giudizio di valore, un giudizio estetico sull’ultimo film di Scorsese, è quello che un lettore sta probabilmente cercando in questo articolo, sebbene non è utile che io pensi a questo.
Il mio personale parere, se poi uno lo vuole sapere, è che il film di Scorsese dà una risposta di troppo. Cioè dà una risposta poco chiara, ma la dà. E io non credo che sia buono dare le risposte.
Sì o no, dunque?
Sì: va bene andare al cinema da soli un venerdì, a vedere il lungo film di Scorsese, che però mi è passato veloce, perché succedono cose, non ci sono certo i tempi morti del cinema d’autore, ma forse l’autorialità di Scorsese è di essere narrativo? Boh.
Forse in questo film specifico c’è qualche ripetizione? Forse sì.
E poi, ripeto, quella risposta finale, o forse nemmeno risposta, ma cosa, ce n’era davvero bisogno? E se sì: perché?
E perché tutti parlano in inglese?
Ma forse questo tipo di valutazione non è buona, per interpretare un film. Le intenzioni, mi ripetevo ancora una volta uscendo dalla sala, se ci si mettono in mezzo anche loro non se ne esce più coi pensieri.
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