Premessa.
Ad alcuni sembrerà banale, ad altri stronzo, ma la fantascienza è un dito in culo. Ogni frase, ogni fotogramma, ogni vignetta partorita dagli autori fa i conti con la pignoleria e la pedanteria di chi osserva quanto messo in scena: plausibilità, premesse, contesto, aspettative, risultati. Tutto è sotto esame.
Non c’è sospensione dell’incredulità che regga a una stronzata. Non ci sono leggi del nostro universo narrativo che giustifichino scelte stupide.
È così, fa parte del gioco. Perché la fantascienza che aspira a essere grande deve fare i conti con una realtà sempre più mutevole e accelerata, bisognosa di esorcizzare le paure che nascono dal frammentato caos quotidiano.
Prendere slancio da ciò che viviamo per superare i limiti dell’immaginario è una sfida complessa, per questo la fantascienza a noi più prossima gioca spesso sulla distorsione della realtà anziché sull’inventiva. Il successo di questi prodotti sta nella loro capacità di rimanere ancorati a leggi fisiche e sviluppi tecnologici attuali, mostrando però risvolti dal retrogusto apocalittico e drammatico.
La distorsione funziona bene quando è in grado di prendere una certa distanza dal mondo che vuole ritrarre, pur mantenendo i simboli di riferimento e le modalità di funzionamento. Il piano estetico e operativo ha quindi valore portante. Lo spettatore deve sapere come funziona ciò che sta vedendo sulla base delle sue esperienze e conoscenze quotidiane, ma non deve riconoscere ciò che vede come qualcosa con cui ha a che fare tutti i giorni, altrimenti l’impianto fantascientifico crolla.
Per spiegarsi: hardware e software svolgono le stesse funzioni che svolgerebbero nella nostra realtà, magari fanno una o due cose in più, e sono rappresentati con design e grafiche avveniristiche, appariscenti e cartoonesche, incentrate sull’impatto estetico e non certo sull’user experience dell’utente. Il loro scopo è quello di proiettare sguardo e mente dello spettatore in un mondo verosimile ma al contempo diverso e distante. È un trucco semplice e funziona bene, ma si regge su un equilibrio precario, perché è un attimo che la realtà superi la fantasia e trasformi quel processo narrativo da qualcosa di grottesco e plausibile, a qualcosa di obsoleto se non quando ridicolo.
Tuttavia la rappresentazione di una realtà in cui siamo vittime dei più disparati gadget tecnologici è oggi sport olimpionico, ma più che dar linfa a un genere sempiterno, ci troviamo di fronte alla messa in scena di un malinteso quotidiano con gli oggetti che ci circondano, spesso perché non ne conosciamo la grammatica di funzionamento. L’oggetto diventa qualcosa di diverso, di altro, calato dall’alto nella nostra routine e verso il quale finiamo per nutrire dubbi di affidabilità e sicurezza.
Come uscire da quest’impasse? Noi della Bocciofila non vogliamo lasciare soli registi e sceneggiatori che si cimentano in questa sfida, perciò ecco 5 consigli non richiesti +1 su come gestire al meglio un film in cui si vuole mettere in discussione l’evoluzione tecnologica di un oggetto molto comune: l’automobile.
Consiglio 1
Va bene il citazionismo, ma quando è così abusato diventa come un proverbio svuotato di saggezza dall’iterato uso che se ne fa. Oltretutto, se il risultato estetico è quello di un veicolo che indossa il camouflage di un prototipo in via di sviluppo, è controproducente. Quella livrea esiste per uno scopo: rendere anonime le auto.
Senza scomodare i prototipi, esistono diversi modelli in produzione che richiamano un design fantascientifico. Basta osservare, per esempio, il mercato dei veicoli elettrici.
Consiglio 2
Da qualche anno a questa parte non c’è bisogno di sforzarsi troppo per immaginare un’auto intelligente, perché lo sono già intelligenti, a loro modo, le auto. Ormai si lavora sull’eticità dell’intelligenza e sull’affinare e migliorare lo stato attuale della stessa. Se l’auto che presenti non distingue il fumo di sigaretta che autista o passeggero fumano da un possibile incendio scoppiato nell’abitacolo, credo che dovremmo rivedere il concetto stesso di intelligenza, o quantomeno tarare meglio i sensori olfattivi del mezzo.
Consiglio 3
Che a modo loro lo sono intelligenti, le auto, lo abbiamo detto, ma non sono in grado di coprire tutte le casistiche di pericoli che possono capitare alla guida. Per questo esistono 5 livelli di guida autonoma. Tuttavia, anche in un futuro dove tutto ciò viene perfezionato, la possibilità di passare al controllo manuale è fondamentale per la sicurezza. Se decido di guidare io però non è che l’auto si può offendere e per ripicca mi disattiva anche il servosterzo, perché così non è né stupida né intelligente, è stronza.
Consiglio 4
L’auto che si comanda con una app dello smartphone può andar bene, ma non affidiamoci troppo solo a questo elemento, non è credibile. Oggi uno smartphone di fascia media possiede il lettore di impronte digitali e lo sblocco facciale. Per quale motivo un modello di auto premium, dal valore di diverse centinaia di migliaia di dollari o euro, non dovrebbe avere simili e più raffinati dispositivi di sicurezza a bordo?
Consiglio 5
Se la tua auto super sicura e intelligente è in grado di riconoscere il tipo di passeggero seduto a bordo registrandone il peso, come può non accorgersi di avere una persona intrappolata nell’abitacolo? Basta che, da ferma, registri un peso costante sul sedile per più di tot ore, e potrebbe mandare una notifica allo smartphone del proprietario: «ehi, sono Kitt, hai lasciato per caso tuo figlio o il cane nell’abitacolo? Ci sono 45 gradi al mio interno, forse dovresti riprenderlo, nel frattempo metto su un po’ di musica e attacco l’aria condizionata».
Certo, direte voi, il peso può esser dato anche da un sacco di patate lasciato lì, ma un’auto intelligente può essere in grado di distinguere un sacco di patate da un essere vivente? Può.
(+1)
Questa è da scuola guida, ma va sempre ricordata, proprio perché le auto di segmento medio progettate negli ultimi anni, soprattutto se dotate di cambio automatico, hanno un grosso difetto: inseriscono automaticamente il freno a mano quando il mezzo si spegne. È un attimo dimenticarsi che tale strumento esiste, ma se a dimenticarlo è la tua auto dotata di un livello di sicurezza a prova di guerra termonucleare denominato Vault Mode, abbiamo un problema, non solo di intelligenza; che cresce esponenzialmente se quel sistema che blinda l’auto per proteggere i suoi passeggeri, si disattiva quando l’auto si trova nel bel mezzo di un incidente.
Ragazzi, controllate non vi sia arrivata una mail di richiamo da parte del costruttore, perché qui ci dev’essere un problema.
Conclusioni
Non vogliamo fare i pignoli e i pedanti, ma quando queste macroscopiche imprecisioni non si trovano a margine, bensì sono gli snodi fondamentali su cui si basa la narrazione, l’evolversi degli eventi e la risoluzione dei problemi, forse c’è qualcosa che non va. Forse, da fruitore del prodotto, un po’ mi sento preso in giro, sento tradita la fiducia riposta e mi sento derubato del tempo impiegato non solo a guardare, ma anche a chiedermi perché lasciarsi andare a questa superficialità, a questa, se vogliamo, malafede. Perché non sembra che tu voglia mostrare i limiti dell’intelligenza artificiale, i suoi risvolti dannosi; quanto più la stupidità dei progettisti e delle persone che di tale intelligenza si servono.
Ricordarsi di tirare il freno a mano è importante non solo quando si parcheggia l’auto, ma anche quando la fantasia non ha la forza di confrontarsi con la realtà.
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