Aveva sempre voluto raggiungere con un’altra persona quella sintesi estrema, l’abbattimento di ogni possibile convenzione o preambolo. Gli aveva scritto solo: scopiamo? E appena un mese dopo era riuscito a togliere anche quel volgare uncino barocco alla fine della frase, trasformando l’interrogativa in un’affermativa perentoria la cui apparente violenza nascondeva in realtà una libertà inebriante: scopiamo.
Se fosse stato uno stile architettonico il loro rapporto sarebbe stato il rigoroso romanico.
Lui arrivava sul pianerottolo a passo di guerra e lei non aveva neppure la pazienza di lasciarlo entrare che glielo prendeva in bocca lì fuori, col rischio che la signora Applebaum si mettesse allo spioncino e riferisse tutto al direttore di condominio.
Se fosse stata una professione il suo modo di scopare sarebbe stato l’addetto al recupero crediti: una figura vista di cattivo occhio o comunque temuta.
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Conoscere qualcuno a fondo ti porta sempre ad odiarlo, diceva lei. Questo lo sapeva bene, ormai. Non tanto perché venissero a galla chissà quali spiacevoli verità, ma perché l’atto stesso del conoscere, rivolto a una persona, si rivelava sterile, una mancanza nel senso di realtà.
Così era stato per sua moglie, in effetti, che ora lo detestava.
Lui la guardava serio, dal letto, e le chiedeva come si chiamava la fobia di scureggiare in pubblico, perché pensava di esserne affetto.
Lei sublimava il suo cinismo mettendo le Camel blu in un pacchetto in tutto e per tutto uguale agli altri ma con la scritta nero su bianco: il fumo uccide, comincia subito.
Lui le aveva raccontato la storia della cicala e la formica nella versione giapponese, che era uguale all’originale ma quando arrivava l’inverno e la cicala andava a bussare dalla laboriosa formica, la formica, titubante sulle prime, alla fine apriva la porta e le offriva una cena e un po’ di calore.
Che era un modo come un altro per dire che faceva beneficenza.
Lei allora gli aveva raccontato la sua versione.
Nella sua versione la cicala organizzava feste e metteva dischi nei sottopassi della città per tutta l’estate. Poi quando arrivava il freddo e cadevano le foglie andava a bussare alla villona della formichina capitalista e gli apriva il maggiordomo – un grosso scarafaggio – e la cicala gli sparava in faccia.
Quindi entrava in casa e saliva in camera da letto dove trovava la formichina con le braghe calate a farsi spompinare da una mantide religiosa bendata e legata.
E cosa succedeva dopo, aveva chiesto lui.
Li uccideva entrambi e rubava tutto, aveva risposto lei.
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Se fosse stata una gemma sarebbe stata un’opale nera australiana.
L’idea di conoscerla davvero era un’illusione subito evidente, un’illusione grande quanto prevedere i riflessi dentro un’opale.
Un’opale contiene l’universo, e così lei.
Le aveva preso un appartamento dove scopavano e dove giocavano a se fosse.
Qualunque scusa pur di non parlare di se stessi, aveva insistito lei, anche se lui aveva lentamente iniziato a cedere parti di sé, piccole confidenze e paure, quasi senza rendersene conto.
Se fosse stata una razza canina la signora Applebaum sarebbe stata senza dubbio un griffone di Bruxelles.
Un giorno lei non si era presentata, e così i successivi.
Lui non aveva avuto più sue notizie per molto tempo (due mesi, diciassette giorni, nove ore) e si era ributtato nel profitto aziendale.
Il numero di lei, quando provava ostinatamente a chiamarla, era inesistente. Ascoltava la voce registrata e ripensava ai suoi capelli rasati da un lato e al suo culetto sodo.
L’investigatore privato era cautamente pessimista.
Poi una sera, mentre era in camera, sentì suonare il campanello e per poco sua moglie non soffocò.
(Scalpitare di passi sulle scale.)
Se fosse stata un concetto fisico sarebbe stata il vuoto quantistico. Non il nulla ma un oggetto suscettibile di fluttuazioni, con lampi di luce a squarciare l’oscurità come coltellate nella carne.
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