Nel film Io e lei, “credibile e delicata pellicola che mantiene un tono divertito anche nei momenti dolorosi, un sottotesto dolente anche nei momenti comici”, la Buy e la Ferilli interpretano una coppia che convive da 5 anni. C’è da dire: finalmente coppie di fatto entrano nelle trame di film mainstream anche in Italia, mentre in USA Ellen Page, dopo il suo chiacchierato outing, ha potuto girare Freeheld, con Julianne Moore, dove si affrontano i diritti delle suddette coppie e il loro effettivo riconoscimento. Ci stiamo lentamente arrivando, non ci siamo ancora – basti pensare al ridicolo putiferio mediatico\legale\umano che si è scatenato dopo la morte di Dalla attorno al suo compagno.
Però, pensavo a un paio di però.
Il film non si allontana di molto dal giudizio dato in prima riga: credibile. Se scegli la Ferilli per interpretare un ruolo del genere – e paradossalmente è più brava lei della Buy, checché ne dica DAGOSPIA (“La luce oltre il Buy”, titolava giorni fa) – è evidente che non ti interessa di rappresentare la realtà più di quanto non ti interessi di attirare il pubblico con questo furbo escamotage\trappola. Nella Vita di Adele, per esempio, di Kechiche, il tema “coppia gay” è trattato con tale profondità e accuratezza da far dimenticare che si tratta di un film “su una coppia gay”, cosa che non puoi toglierti dalla testa mentre guardi Io e lei, neanche per un secondo.
Un maestro nel non sospendere mai l’incredulità – nel non rompere mai questo velo di finzione in nome di altre furbizie – è Ferzan Özpetek. I suoi film strizzano l’occhio ad Almodovar tanto quanto non riescono neanche lontanamente ad imitarlo. Non sarà sostanziale ma anche tutti i personaggi gay di Özpetek sono interpretati da blasonati etero: Alessandro Gassman, Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino, Luca Argentero, Alessandro Preziosi, Riccardo Scamarcio, … Il discorso può facilmente scivolare in contesti fragili e delicati – perché il tema lo è, specie se non lo si affronta di petto – ma quando guardo film del genere mi sembra di sentire risuonare nelle orecchie quella frase terribile che si dice quando si vuol vantarsi di non avere pregiudizi: “Io non sono contro i gay, anzi, ho anche degli amici gay”. Mi sembra una specie di stelletta che certi attori ambiscono a sfoggiare nel proprio curriculum – soprattutto uomini talmente etero da poter interpretare un omosessuale. È così che Raul Bova è diventato, vox populi, un bravo attore. Non vorrei arrivare a tanto di dire che questo tipo di film avalla i pregiudizi invece di scalzarli. Ma ecco, forse, e dico forse, per evitare di propinarci queste interpretazioni posticce – sembra un teatro dove si vedono gli elastici delle maschere – e ancora per evitarci le espressioni intense di una Ferilli al massimo sforzo, per quanto burinamente simpatica, si potrebbero fare dei casting tesi alla realizzazione della storia e non dell’incasso. Non esistono bravi attori gay? Non sarebbe tutto più naturale? Mi sembra un po’ come quando, durante la dittatura puritana – esagero volutamente – il teatro elisabettiano doveva servirsi di ragazzi adolescenti per i ruoli femminili. Stanislavskij arriva fin qui?
Rispondi