Giorgio arrivò al deposito quando fuori era ancora buio. Lo smartwatch segnava le 5:58 e un battito cardiaco di 80 bpm. Evitò la macchinetta del caffè e i colleghi del primo turno che chiacchieravano prima di iniziare. Andò dritto in postazione, infilò lo zaino sotto il casellario e iniziò a lavorare. Per prima cosa si scartano i mazzetti di posta arrivati dal deposito centrale: bollette, avvisi generici, cartoline e pubblicità. Tanta pubblicità. Poi si ammonticchia tutto in pile ordinate per nome della strada, e infine si smista: ogni lettera finiva nella rispettiva via del casellario, ordinata per numero civico.
Alle 7:25 andò a timbrare il cartellino. Il sui turno iniziava alle 7:30, ma da quando avevano dimezzato le zone di consegna, accorpandone due in una e raddoppiando il carico di lavoro, Giorgio aveva deciso di regalare un’ora all’azienda, pur di lavorare con calma e finire nei tempi stabiliti da contratto. Meglio alzarsi prima che finire dopo.
Riorganizzate anche raccomandate, pacchi e giornali, sfilò la corrispondenza del giorno dal casellario e per ogni via creò plichi stretti da elastici colorati. Alle 8:17 portò tutto allo scooter e lo caricò seguendo un ordine preciso: nel baule posteriore i pacchi voluminosi e le lettere da consegnare nel pomeriggio, dall’ambulatorio USL a viale Aldo Moro; nel borsone anteriore la corrispondenza della mattina, dal condominio di via IV novembre al Banco di Credito Cooperativo. Nella tracolla, le raccomandate importanti.
Alle 8:28 terminò le fasi di carico, come sempre oltre il limite consentito, perché le norme di sicurezza venivano dopo gli obiettivi di consegna, con bonus per chi piazzava un pacco al primo tentativo e malus per chi falliva tre volte. Prima di uscire tornò al casellario e tirò fuori dallo zaino due buste: una la infilò rapido nella tracolla, l’altra, con dentro il pranzo, la sistemò nel borsone anteriore, accanto alla bottiglia d’acqua. Preferiva portarsi tutto da casa, dato che i buoni pasto da 5 euro, che avevano sostituito la mensa aziendale, bastavano a malapena per un panino col salame.
Quandò partì per la consegna, lo smartwatch segnava le 8 e 48 e un battito cardiaco di 85 bpm. Nonostante l’equilibrio precario del mezzo, si muoveva tra le auto senza difficoltà: era svelto in ogni sorpasso e preciso quando si infilava tra due file di auto. Arrivato al primo condominio di via IV novembre, iniziò la seconda parte di giornata: cavalletto laterale giù, plico dal borsone anteriore, suonare tutti i campanelli dell’edificio e gridare, al primo che alza il citofono: posta in cassetta! Una volta dentro, le mani imbucano con movimenti rapidi, precisi e calibrati, che il corpo esegue senza pensare o riflettere, come camminare o respirare.
Alle 10:49 la prima pausa: sosta bagno al bar del circolo di quartiere. Era in anticipo di 8 minuti sulla tabella di marcia. I primi anni non riusciva nemmeno a farsi una pisciata durante il turno. Ora riusciva pure a prendere un caffè e aveva tempo di controllare le notifiche del telefono. Il segreto di tanta efficienza era banale: ripetere i gesti in modo ossessivo e maniacale, fino ad azzerare il ragionamento critico. Da lì in poi si lavorava di fino, limando ogni secondo possibile. Una professionalità che non s’improvvisava, ma si costruiva in anni di servizio e si rafforzava a ogni nuova riorganizzazione aziendale al ribasso.
Alle 11:59 arrivò alla sede del Banco di Credito Cooperativo. Scese dallo scooter, controllò che nella tracolla ci fosse tutto e si avvicinò all’ingresso di servizio. La fiducia guadagnata nel tempo gli permetteva di evitare la porta d’ingresso principale. Salutò la guardia giurata, che gli fece un cenno senza alzare lo sguardo dallo schermo del telefono. Dentro, due sportelli su quattro erano aperti, ma solo uno operativo. Nell’altro, un addetto armeggiava col PC, tenendo i clienti in attesa. Giorgio si avvicinò, consegnò la posta generica e disse di avere una raccomandata per la direttrice. L’addetto, senza staccare lo sguardo dal monitor, annuì e gli fece un gesto con la testa, come a dire: va pure, la strada la sai.
Davanti all’ufficio della direttrice, Giorgio sentì una piccola incertezza, come se qualcosa, nel suo incedere, si fosse disallineata. Lo smartwatch segnava le 12 e 07 e una frequenza cardiaca vicina ai 100 battiti al minuto. Ripensò all’esercizio che fanno i marine in guerra, per mantenere il controllo. Inspirare profondamente per quattro secondi. Trattenere per quattro. Espirare lentamente. Non respirare per altri quattro. Ripetere. Quattro per quattro. Un’altra vibrazione al polso: frequenza cardiaca sopra i 120 bpm. Senza pensarci un secondo di più, infilò la mano destra nella tracolla e con la sinistra bussò.
Varcata la soglia, avvenne uno scarto, una deviazione che si manifestò in due tempi.Il ritmo cadenzato della giornata sembrò prima allentarsi, poi dilatarsi e infine fermarsi del tutto. Per poi ripartire con uno strappo improvviso ma netto, quasi violento, tanto che nel momento in cui Giorgio tirò fuori la pistola dalla tracolla, muscoli e riflessi lo tradirono: la mano non strinse il calcio a dovere e il braccio non si tese come avrebbe dovuto. Il movimento risultò goffo, debole, fuori tempo, indeciso. In una parola: improvvisato.
Ma la sai usare, una di queste? Gli aveva chiesto il tizio che gli aveva venduto l’arma.
Mica la devo usare, le voglio solo far paura.
Paura? A quella le devi sparare alle gambe, così ogni volta che prende la rampa per entrare in banca, si ricorda del giorno che ti ha negato il prestito.
Non esagerare ora, non la voglio usare.
Non la vuoi… a me sembra faccia paura a te, questa. Esci i soldi, e se ti beccano non fare il mio nome.
In un primo momento, la direttrice non capì cosa stesse succedendo. Vide solo una cosa grossa e nera sfuggire dalle mani del postino e schiantarsi sul tavolo. Scattò in piedi, ma appena riconobbe l’oggetto, senza pensarci, allungò la mano, lo afferrò e lo puntò verso Giorgio. Era la prima volta che ne teneva una, e il peso la sorprese.
Giorgio portò avanti le mani, si piegò sulle ginocchia e accennò una sequela di no, no, no con la testa che scattava a destra e sinistra. Lo smartwatch segnava una frequenza cardiaca vicino ai 180 bpm. Giorgio sentì il cuore picchiare sulla cassa toracica. Il respiro. Doveva controllare il respiro. Ormai in ginocchio, le mani al soffitto, contò fino a quattro, inspirando. Trattenne per altri quattro secondi, poi lasciò andare l’aria. Contò fino a quattro coi polmoni vuoti, poi respirò di nuovo. Ripeté il ciclo una, due, tre volte, nel tentativo di recuperare la regolarità di quella giornata ormai prossima a spezzarsi, perché i pensieri di entrambi, di Giorgio e della direttrice, si erano incagliati in un punto impreciso tra la mano che afferrava la pistola e lo sguardo di chi ne era sotto tiro.
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