Sully, C. Eastwood + Free State of Jones, G. Ross
C’è un piacere speciale nel dichiarare, nei trailer o all’inizio di un film, “tratto da una storia vera”. “Basato su una storia vera”. “Ispirato a una storia vera”. Le due uscite forti della settimana Sully e Free State of Jones, sono entrambi film di questo tipo, il che mi spinge a dire alcune cosette.
Ma prima una breve parentesi.
A pensarci bene i due film hanno anche altri minimi comuni denominatori:
- sono entrambi film americani,
- entrambi i registi hanno più di sessant’anni e vivono in California,
- entrambi i protagonisti si trovano ad opporsi a uno stato di cose esistente e dannoso per la loro e l’altrui sopravvivenza, diventando guide e paladini di una morale progressista, pur essendo di fondo dei reazionari,
ma quello su cui ho scelto di concentrarmi è questo aspetto, quello della verità.
C’è come una sorta di bollino, il bollino della verità, che spesso si mette sulle cose. Ciò che è vero, ciò che è accaduto, ciò che è. Ecco, io vorrei dire che questo sbandierarlo, mi irrita. Non mi interessa, non mi importa, non aggiunge nulla a ciò che sapevo già prima.
Basato su una storia vera?
E allora?
Come diceva un lunedì il mio amico Gioacchino, un lunedì pomeriggio ubriachi alle quattro di pomeriggio, il mondo è pieno di cose possibili. E io, qualsiasi cosa significhi, sono d’accordo con lui.
Un Natale al Sud, F. Marsicano
Mi ha scritto Giovanni e mi ha chiesto se avevo qualcosa da fare uscire al volo, che era saltata la programmazione di In fuga dalla bocciofila.
Ok, ho detto io, senza pensare che non avevo nulla in assoluto, e che mi sentivo arido e vuoto.
E allora ho pensato di guardare il film più semplice, di guardarlo in streaming, quello più semplice di tutti da stroncare. L’ho identificato in un attimo, e mi sono messo sul divano a guardarlo.
Ho retto i primi ventisei minuti, che a pensarci un attimo, è un’eternità.
Il piano mentre lo vedevo è cambiato: scrivere una cosa che lo salvasse, che lo nobilitasse. Poi è cambiato di nuovo: mi sono orientato in un’interpretazione del film che spiegasse il voto referendario del 4 Dicembre 2016. Poi ho semplicemente lasciato perdere.
Il film ha una trama fatta di gag volgari, peti, parolacce, scenette utili a giustificare qualche culo e tetta, e poi luoghi comuni sul sud, sugli omosessuali, sulle famiglie di oggi che provano a rimanere tradizionali, sulle loro frustrazioni nel vivere un mondo che non capiscono, che gli sfugge dalle mani e che forse gli fa pure un po’ tristezza: cinquantenni con figli adolescenti inchiodati di fronte a telefoni cellulari, e che sono completamente incapaci nel loro ruolo di genitori.
Ma prima di arrischiarmi in un’analisi più seria e approfondita, ho scelto di ripiegare su un link, ovvero la biografia del regista, che in un certo senso riassume tutto quanto. La trovate qui.
Unica nota positiva a mio parere è la scelta dell’articolo indeterminativo “un” nel titolo, che dona al film un carattere di temporalità e in generale di qualcosa destinato a trapassare.
Nocturnal Animals, T. Ford
Circa i cosiddetti finali aperti ho una posizione alquanto ambigua.
Innanzitutto non li capisco.
Che c’è da capire? Sono aperti.
Ok, ma se è aperto, vuol dire che comunque ci sono molteplici spiegazioni che lo giustificano. Ma io non riesco a formularne nessuna.
Eppure sono evidenti, ti vengono suggeriti.
Non mi va di rimuginare sulle cose, semplicemente io non sono così.
Bene. Ma non si tratta affatto di rimuginare, si tratta di completare qualcosa di implicito.
Tipo?
Tipo, in questo caso si parla di vendetta. Se ne parla in modo confuso, ma se ne parla, e di debolezza. Insomma, il film stesso ti porta un po’ a mettere come risposta lasciata in bianco uno dei concetti descritti nel film. Capisci che dico?
No, non capisco e non voglio capire. Tuttavia vorrei concludere questo dialogo breve e superfluo dove si parla di finali aperti, con un finale aperto, tipo io che forse alludevo a tutt’altro quando dicevo quella cosa, stavo parlando d’altro, e poi bam, è finito.
…
…
Rispondi