Ieri (Mercoledì 21 Ottobre 2015) Martin McFly sarebbe dovuto arrivare dal passato. E in effetti è arrivato all’interno degli schermi (anche questa volta non ci ha delusi). Per un motivo o per l’altro mi sono ritrovato tristemente solo a casa, ma non mi sono abbattuto. Ho pensato che era da tanto tempo che volevo rivederlo e questa poteva essere un’ottima scusa. Ho controllato se per caso davano Ritorno al futuro al cinema e ho scoperto non solo che lo davano, ma che c’era anche il raduno mondiale di Ritorno al futuro in ben due cinema di Firenze, entrambi multisala. RADUNO MONDIALE: ma vi rendete conto? Propio a Firenze!!! E come potevo perdermelo?!
Sono andato a veder cosa succedeva da quelle parti e ho scoperto che non succedeva nulla di così interessante come potevo aspettarmi: nessun nerd vestito da pazzo come i fan di Guerre Stellari. Nessun cretino che sostenesse di essere arrivato dal passato. Solo un grosso numero di persone in fila alla cassa, tutti più o meno della mia età. Tutti più o meno contenti (anche se molti non erano veri fan di Ritorno al futuro come me). Ho fatto il mio biglietto senza guardare la cassiera. Mi sono infilato in sala con nachos e formaggio fuso che sembra più che altro plastica. Ho aperto gli occhi. Ho guardato.
Non vedevo Ritorno al futuro da 15 anni, anche se senza dubbio è stato uno dei miei film preferiti durante l’infanzia. Lo so tutt’ora a memoria. E appena inizia il primo capitolo di questa saga comincio a raccontarmi mentalmente fotogramma per fotogramma le vicende di questo eroe che è Micheal J. Fox, sicuramente (indiscutibilmente, inequivocabilmente, metafisicamente) il più grande attore americano degli anni ottanta e metà anni novanta. Lo adoro. La sua recitazione un po’ goffa, da ragazzo qualunque che vive continuamente in uno stato di minorità e deve lottare per autodeterminarsi, sconfiggendo bulli, conquistando la ragazza della propria vita, dimostrando ai propri genitori e alla società intera di non essere una nullità, costui ha colonizzato l’immaginario di intere generazioni, compresa la mia. Ed io mi trovo a piangere commosso quando McFly si risveglia negli anni 50 nel letto di sua madre giovane e incredibilmente attraente. Perché non solo mi diverto a vedere come gli sceneggiatori abbiano trasformato un film di fantascienza in un complesso gioco edipico in forma ultra pop, ma mi sento quasi protetto, come se io stesso fossi tornato indietro nel tempo e tutte le difficoltà della vita fossero improvvisamente scomparse. Ritorno al futuro ha questo potere insapettato che gli psicoanalisti chiamano regressione, che condivide soltanto con Indiana Jones e Gosthbuster.
Ma poi inzia anche il secondo capitolo della saga, e qui la trama si fa più paradossale e complessa. Non sto proprio piangendo, ma quasi. E’ proprio qui che Martin arriva nel 2015. Fa senza dubbio un po’ ridere vedere come negli anni 80 si immaginavano quello che noi chiamiamo oggi ed io per un po’ ho continuato a sperare che, uscendo dal cinema, avrei trovato quella realtà lì (per poi rendermi conto che difatto questo secondo capitolo ha una sfumatura distopica in realtà assolutamente coerente con la società di oggi). Ma dal punto di vista narrativo, se nel primo capitolo veniva presentato il conflitto edipico in modo sobrio, nel secondo il mondo interiore di Michael J. Fox viene estrinsecato spazio-temporalmente, creando universi paralleli che ben rappresentano le paure di un ragazzo nella tarda adolescenza (in particolare i grossi conflitti derivanti dal rapporto padre figlio [ancora Edipo]). Certo tutto è estremamente leggero e divertente e alla fine anche conciliante. Rimango però sbalordito nello scoprire che molti sogni sul viaggio nel tempo li ho introiettati da Ritorno al futuro II, come comprare un almanacco di risultati sportivi, ritornare a quando avevo 18 anni e dirmi: Ciccio diventa ricco e goditela.
Ma poi c’è anche il terzo capitolo, senza dubbio quello che mi piace meno, perché racconta il momento della maturità: ormai abbiamo scoperto che il mondo non è solo comprendere chi siano effettivamente i nostri genitori, né esclusivamente una proiezione delle nostre paure, bensì un rude, vuoto selvaggio west (certo tutto sempre molto pop e leggero). Per poi finalmente tornare a casa, nel presente, alla fine delle avventure, e finalmente aver sconfitto tutte le nostre idiosincrasie. E’ sempre qui che Spielberg (il produttore del film) mi delude. Ma poco importa. In fin dei conti ieri tutti erano fan di Ritorno al futuro (anche se non tutti erano dei veri fan come me) e non ho visto una sola persona che non fosse entusiasta di vedere questo capolavoro della cultura pop anni 80. E se anche fossero stati falsi fan, chi se ne frega, perché l’unica cosa che conta veramente è che lo siano diventati.
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