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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Pretend it’s a city | Tiscali

9 Febbraio 2021 di Francesca Corpaci

Seduta in uno di quei bar vecchio stile che esistono solo nei film di Scorsese, una tizia dall’acconciatura trapezoidale sposta il discorso su come, nel momento in cui lasci New York o decidi di passare un po’ di tempo altrove, non riesci a capacitarti di quanto la vita sia più facile. “È una città così impossibile che quando mi chiedono perché ci abito non so rispondere. Quello che so è che disprezzo chi non ha il fegato di farlo”.

“Falsissimo” commenta lui, che a New York ci ha vissuto sei mesi eppure ne parla come se ci fosse nato, o come se il fatto di non trovarsi lì anche adesso, in un desolato lunedì sera feriale, costituisse un fatto del tutto implausibile.

“Ma in base a cosa?” domando alzandomi per mettere in pausa.

“Prendi noi – continua senza ascoltarmi – abbiamo appena cambiato casa. Viviamo in un piccolo centro che, correggimi se sbaglio, conosciamo entrambi piuttosto bene. Non dobbiamo preoccuparci di cose tipo la lavanderia più vicina, che tra parentesi non possiamo neanche permetterci, o la presenza o meno di stazioni della metro. Non esistono quartieri davvero pericolosi. Però, ad esempio, c’è Tiscali.”

“Cioè l’ADSL?”

“A parte che l’ADSL non esiste neanche più. La fibra, sì.”

“Abbiamo un problema con Tiscali?”

“Diciamo che avrebbero dovuto allacciare i cavi giovedì scorso, ma non si è presentato nessuno. Allora ho fissato un secondo appuntamento per stamani, però ancora una volta, niente. Ho contattato il servizio clienti, mi hanno fatto presente che non dipende da loro, che hanno esternalizzato ogni questione tecnica, che non possono fornire numeri telefonici diretti e che, in ogni caso, è tutto nero su bianco nei termini del contratto.”

“Quindi?”

“Al massimo si può prendere un ulteriore appuntamento, cosa che ho fatto. Tuttavia, chissà se arriverà davvero qualcuno.”

“Scusa, e come dovremmo risolvere? Ma poi anche adesso, che rete stiamo utilizzando?”

“Il punto è: nella stessa situazione, cosa farebbe Fran Lebowitz? Se dovesse attivare un abbonamento Tiscali, come se la caverebbe?”

“Fran Lebowitz non ha il computer, lo sanno tutti. Non ha neanche il cellulare, forse neppure il telefono fisso.”

“Posto che mi pare una posa ridicola, fingiamo per un attimo che debba comunque mettere internet.”

“Sicuro sceglierebbe un servizio migliore. Non Tiscali, che è ufficialmente il peggio sulla piazza, l’internet dei disperati, un intero universo di querele ignorate.”

“E invece la scelta cadrà proprio su Tiscali. E ti dirò di più: quel giorno, anzi ogni giorno fino all’attivazione del servizio, il suo assistente personale pagato in visibilità sarà in vacanza. O meglio, si troverà sotto sequestro. Gli taglieranno sottilissime fettine d’orecchio finché quel cazzo di Tiscali non sarà funzionante. Che fa Fran Lebowitz a questo punto?”

“Si rivolge alle forze dell’ordine, immagino.”

“Non ha il cellulare. Non ha il telefono fisso. Non ha il computer. Non può.”

“Può raggiungere una stazione di polizia a piedi.”

“Concentrati sulle pratiche di allaccio.”

“Scrive un pezzo sul New Yorker per denunciare il disservizio?”

“Certo, così Tiscali può millantare che la lobby degli ebrei fighetti sceglie prodotti a basso costo per il gusto di protestare.”

“Li denuncia al sindacato consumatori.”

“Ce la vedi Fran Lebowitz allo sportello del Codacons?”

“Va bene, allora che fa? Chiama il numero verde?”

“Te lo dico io che fa. Non fa niente. Telefona cento volte a un operatore che risponde dalla provincia di Oristano e non cava un ragno dal buco. Prende un terzo appuntamento, poi un quarto, poi un quinto e non si presenta mai nessuno. Va fuori di testa, li sputtana con tutti i suoi amici ex team Warhol nei loro salotti buoni e il risultato? Rimane senza internet come tutti noi, senza un film decente da guardare la sera, senza giga per lo smart working, senza porno, senza rien.”

“…”

“Ma non è tanto questo l’importante, il disagio assurdo di pagare puntualmente quasi trenta euro al mese per un servizio di merda.”

“No?”

“No. Quello che voglio dire è che New York sarà anche una megalopoli spietata, un posto dove crepi per strada e non gliene frega niente a nessuno, ma la verità è che tutte le città sono inaffrontabili, che non esistono luoghi dove si vive bene -”

“Amen.”

“– e che non c’è niente di speciale nel vivere a Mosca, a Nuova Delhi o a Nairobi. Ogni posto è uno schifo a modo suo, l’uno o l’altro fa lo stesso.” 

“…”

“…”

“Tornando a Tiscali -”

“Ho craccato la rete dei vicini.”

“…”

“Avremmo potuto chiedere, però non mi sembrava carino.”

“Quindi gliela rubiamo alla zitta?”

“Se scegli una password così idiota direi che te lo meriti.”

“Welcome to the jungle.”

“Pretend it’s a city.”

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Postato in: Lo sfogone, Oceani di autoreferenzialità Tag: francesca corpaci, Pretend it's a city Fai un commento

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