di Pierluca Dantuono
In un appartamento di Via Pescara numero 29, non necessariamente ristrutturato ma di classe energetica C, è morto uno scrittore che non hai mai sentito nominare.
Avrebbe voluto intitolare il suo primo romanzo Tondelli vende box auto, ma il suo editor aveva deciso che Servizio autorizzato avrebbe fatto dimenticare meglio la grafica di copertina. Ventisette anni più tardi lo scrittore passò l’ultima domenica della sua vita sotto lo sguardo disintermediato di Richard Burton, a domandarsi perché il dottor Zonfeld era diventato una donna, se a 12’11’’ a cadere era l’ispettore Brunel o Lino Ventura, se è davvero così che trattano gli scrittori in Inghilterra, se l’uomo che causa catastrofi sia colui che scrive e se una risposta, finalmente, poteva mai essere non sono responsabile di quello che dicono i miei personaggi.
E poi, naturalmente: posso raccontare? Sono in grado di farlo? Il tocco della medusa era un buon film per morire? Messo in abisso da una notevole catena di coincidenze, proprio come John Morlar, lo scrittore era seduto a guardare gli ultimi istanti della catastrofe: inondazioni, tornado, terremoti, massacri, rivolte, omicidi, incidenti aerei, Death on the moon, Jumbo disaster, carestie, disastri? No, la sua vita, soltanto quella; una collezione di fallimenti, carne spenta, sguardi pietrificati, nessuna ipotesi di telecinesi, premonizioni da cinema inglese – era un maniaco, è evidente.
Sono uno scrittore, ho il potere di creare di disastri, sono in grado di provocarli? Non dico per me, io sono l’uomo che crea disastri, li provoco agli altri, ho il potere di dare la morte? Il mio potere è sempre distruttivo? Sono troppo per il mondo? Posso raccontare, sono in grado di farlo?
(Nessuna traccia di L)
Sono uno scrittore, ho il potere di creare disastri? Sono troppo per il mondo, li provoco agli altri? Posso raccontare? Ho il potere di farlo?
(Nessuna traccia di L)
Sono uno scrittore? Sono in grado di farlo? Ho il potere di creare disastri?
(Nessuna traccia di L)
Sono uno scrittore? Ho il potere di farlo?
Ho un potere?
Ma visto come sono ridotto, aveva pensato allora, devo avere una buona ragione per continuare vivere e se solo vivessi ancora, in conclusione, non ci sarebbe modo di fermare il mio cervello che non vuole morire, ma ho fallito e i miei romanzi assomigliano a bambini mostri, nati deformi, vissuti un’ora – «Quando sono morti» disse l’uomo, «tutto l’ospedale tirò un sospiro di sollievo». Ho creduto a quel potere e ogni volta ho raccontato la stessa storia, molta vernice su crepe profonde, e pure adesso che rileggo tutto nel film più bello della storia del cinema da vedere una domenica di novembre due ore prima di morire, adesso che muoio – ha avuto senso farlo? – con quale titolo pubblicheranno mai La giurisdizione del perineo?
La risposta, finalmente, fu l’ultimo pensiero dello scrittore, è: il fatto che John Morlar alla fine non muoia non deve volere dire qualcosa.
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