di Leonardo Biancanelli
M’innamorai di una donna – il suo nome era Olivia – in una sera di festa, mentre i grilli frinivano nell’erba alta all’esterno dell’alone giallastro delle lanterne e delle lucine che non illuminavano altro che quella contenuta radura piana, circondata dai castagni, in cui durante quella sera di fine luglio il paese si era riunito in festa; illuminavano non altro che la radura erbosa e i fusti, e non la parte superiore delle chiome che, invece, si spengevano nell’oscurità della natura madre, tra le fronde oscure, le piume del gufo, gli artigli del pipistrello. Ma in quell’alone giallastro e allegro si trovavano tutti gli abitanti di Ponta, e si scaldavano tra le risa; così m’innamorai di Olivia, quando mi disse, chi sei straniero? ti stai divertendo? Moltissimo, le risposi. Mi sto divertendo molto, ma non sono uno straniero.
Ne sei sicuro, mi domandò lei, ma non aspettò la riposta: sorrise e si voltò verso un gruppo di persone, con i boccali in mano: erano spessi e ricolmi di birra.
Ne ero sicuro?
A Sveno domandai se Olivia fosse la bella del Paese. C’è sempre una bella in paese, dissi, è lei la bella? Sveno rispose che sì, ma il suo cuore batteva che per un uomo, uno soltanto. Lo puoi vedere sul palco che suona il pianoforte, disse.
Era un giovane che si contorceva sulla tastiera in un blues concitato; alzava le spalle perfettamente rotonde e nette e le riabbassava con straordinaria eleganza e senso del tempo, o almeno era ciò che io credevo. Lei ballava e lui suonava. È un pianista formidabile, pensai; mi pareva inoltre di averlo già visto da qualche parte. Sveno, dissi, ecco: quello è un pianista formidabile! è forse il pianista del Paese? C’è sempre un pianista in paese, dissi. Senti, Mano, falla finita, quello non è il pianista del paese, è Aldo Larin, uno che sa fare ogni cosa. Che vorrebbe dire “sa fare ogni cosa”? domandai a Sveno, per suonare il pianoforte in quel modo non devi fare altro per tutta una vita.
Aldo Larin è un apicoltore, disse Sveno, vende il miglior miele di Ponta. Aldo Larin è poi un comico, tiene degli spettacoli in città ogni tanto: stand-up comedy, dovresti sentirlo, ti ammazza dalle risate. Alcuni spettacoli si trovano anche su internet. Ma Larin è prima di tutto il medico del paese. Si è trasferito qui da Milsum, un bel giorno, e ha curato un bambino caduto da uno dei castagni; gli usciva la tibia di tanto così… Aldo si è messo i guanti di lattice e ha fatto quello che doveva fare. Poi gli ha ingessato la gamba. Il bambino è il figlio dei Klitz: adesso è già tornato ad arrampicarsi sugli alberi. Così Aldo Larin ha iniziato a lavorare nello studio del Dr. Pinel, ma tutti preferiscono che sia lui, Aldo, a curarli, senza che il Dr. Pinel se ne accorga – di venir lentamente meno al suo utile per la comunità –, o magari se ne accorge, in realtà, ma è vecchio e gli sembra bene così. Pare sia l’uomo perfetto, dissi a Sveno, non senza una punta di sarcasmo. Non ti far ingannare dall’apparenza, Mano, quello è anche malvagio, rispose. Non si è mai capito: è tutto insieme. Un giorno ha massacrato di botte uno che aveva fischiato a Olivia, al bar, lo ha quasi mandato al creatore, e poi si è infilato i guanti e lo ha ricucito perfettamente. Io te lo dico, sta’ alla larga da quei due. Aldo è capace di cose strane. È lui stesso che rifornisce Ponta delle drogucce che ci servono a tirare avanti, a noialtri. In più guadagna moltissimi soldi da questi traffici. Alcuni dicono sia più ricco di Elo Halm. Dicono anche che abbia sponsors per ogni sua attività. Ogni tanto scompare e ritorna dopo qualche mese. Lucio Mans, disse Sveno – lo puoi vedere laggiù, è quello con la giacca di velluto – è solito raccontare di quando due anni fa si trovava nel Loto Giarden, a Milsum, e si chinò a svegliare un barbone per avvertirlo del fatto che alcuni randagi gli avevano rubato una scarpa ed erano fuggiti; in quel momento il barbone si girò e gli sorrise, e Lucio si spaventò perché gli parve essere Aldo Larin; in realtà non ne ebbe mai la completa certezza, perché il volto di quel senzatetto era arso dal sole e incrostato dalla sporcizia mista a polvere e fuliggine e smog sedimentato. Ma fu il fatto che quello gli sorrise, come se lo avesse riconosciuto, che lo porta a credere di aver incontrato proprio Larin sdraiato e derelitto sul prato del Loto Giarden, disse Sveno, mentre io cercavo, a quel punto, di inquadrare, di catalogare, di sistemare nella mia mente quel giovane che si stava sciogliendo nel blues, in quell’aria di festa, proteso verso Olivia; e la muoveva sulla rena di fronte al palco.
Ogni paese avrebbe dovuto avere un signor medico, una bella e un bello, un pianista, un grullaccio, un pinocchio, un ladro, un delinquente, un prete, un gallo, un topo da biblioteca, un ribelle, un comico, un grasso, un tappo, un saggio, un ricco, e un malvagio, un disgraziato, un tossico, pensavo. E se, di questi, alcuni si scambiavano e passavano dall’essere l’uno ad esser l’altro, accadeva quasi mai che lo fossero al medesimo tempo.
Il mio amico Sveno, lì, mi stava forse dicendo che Aldo Larin li era addirittura tutti, proprio nello stesso istante?
Mentre in me, come un certo monito, gracidava quella domanda E tu chi sei, straniero?
Sono Aldo Larin, avrei voluto rispondere.
Ho conosciuto in vita Aldo Larin!