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In fuga dalla bocciofila

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Anne at 13,000 ft | β Geminorum

28 Gennaio 2022 di Redazione

di Francesca Cassanelli

 

Le pareti del vano scala sono ricoperte di fogli A4 disposti a spirale. Intravedo facce sorridenti e corpi stilizzati intrappolati tra due strisce orizzontali verdi e blu. La terra e il cielo. Più su, invece, solo ammassi aperti di colore e agglomerati di polvere, idrogeno e tempera.

La classe del bambino si chiama Polluce ed è all’ultimo piano dell’edificio. Una volta lì, respiro a occhi chiusi per depressurizzare il corpo.

Polluce si trova al centro della costellazione dei Gemelli.

La porta è socchiusa e posso scorgere il bambino e i suoi compagni stretti attorno a una ragazza molto giovane. Riconosco l’odore di candeggina e pantofole calde. Lui si accorge della mia presenza, alza lo sguardo e punta il suo piccolo indice verso di me.

La distanza di Polluce dalla terra è di circa 35 anni-luce.

Aiuto il bambino a indossare la giacca. Provo a mettergli il berretto, ma lui se lo strappa dalla testa e lo butta a terra.

«Non fare il bambino piccolo» dico.

«Non fare il bambino piccolo» ripete lui.

Gli infilo di nuovo il berretto. Il bambino questa volta lo scaglia lontano.

Sbuffo e vado a recuperare quella massa informe, ferma in mezzo al corridoio.

«E va bene. Ammalati pure».

Il bambino getta a terra la sciarpa e anche i guanti.

«Ma sta nevicando» dico.

«Non è vero» risponde lui.

Prima di uscire di casa ho guardato le previsioni del tempo. Le immagini satellitari parlavano chiaro: perturbazione in arrivo.

«Scommettiamo» dico.

Il bambino mi guarda con la bocca leggermente aperta.

«Cosa vuol dire, sconnetiamo?» Dice proprio così, sconnetiamo.

«Vuol dire che se sta nevicando vinco io, se non sta nevicando, invece, vinci tu».

Il bambino ci pensa, poi raccoglie la sciarpa e se la mette al collo.

«I guanti no».

«Va bene» rispondo, «i guanti no».

 

Fuori è notte e cade una pioggia leggera. Guardo verso l’alto. Il cielo è scuro ma vedo riflesse sotto la luce artificiale dei tubi a neon le migliaia di goccioline che riempiono l’aria. Mi piombano addosso, così fredde che bruciano a contatto con la pelle.

Geminidi, lo sciame meteorico che proviene dalla vicina Castore.

Ho perso, dunque, ma il bambino non sembra farci caso. D’altronde, che cosa ho perso? Che cosa ha vinto, lui?

Mi lascio trascinare per qualche passo, continuando a tenere gli occhi rivolti al cielo. Mi fermo di nuovo e tiro fuori la lingua. Assaporo la pioggia che sa di terra bagnata e smog.

«Mi devi coprire con l’ombrello!» Urla il bambino.

«Ma io non ho un ombrello».

«Sono bagnato! L’altra tata mi copriva sempre con il suo ombrello!»

Siamo gli unici rimasti nel piazzale di cemento. La voce del bambino si perde nel vuoto.

«Adesso calmati e ascoltami. Come hai detto che si chiama, la tua classe?»

«Classe intermedia».

«No. Devi dirmi qual è il suo nome».

«Polluce».

«E le altre?»

Il bambino alza le sopracciglia in un’espressione di stupore. Poi estrae una mano dalla tasca e inizia a contare con le dita. Scandisce i nomi con grande precisione.

«Antares…»

Questa sera c’è una festa a casa di qualcuno. Non voglio andarci, non voglio parlare con i vecchi compagni dell’università.

«Sole…»

I loro mondi sono così distanti.

«Vega…»

Sofia è stata assunta a tempo indeterminato.

«Cassiopea…»

«Ah!» Lo interrompo, «Cassiopea non è una stella».

Paolo e Bea hanno comprato una casa insieme.

«Sì che è una stella».

Giulia ha pubblicato un libro.

«Non lo è».

Si faranno dei brindisi alla vita.

«Sì! Ho detto di sì!»

Non urlare.

Polluce è la stella più luminosa della costellazione.

 

Strizzo gli occhi fino a vedere chiazze di colore e filamenti verdi e viola.

Eppure, la sua luce appare così opaca al cospetto di quella della sua gemella.

La voce del bambino giunge alle mie orecchie da molto, molto lontano.

Polluce la seconda.

«Voglio andare dalla mamma».

Polluce l’invidiosa.

Chi mi perdona per il fallimento?

 Polluce rossa e vuota.

Apro gli occhi e sta nevicando. Il bambino ha il naso bordeaux e le labbra umide di muco e lacrime. Mi stringe con forza una mano con le sue, poi il gomito, la vita. Mi abbraccia forte.

«Hai vinto tu» dice, «andiamo via».

Mite Polluce, priva di colpa.

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