La casa Airbnb che abbiamo prenotato a Torino dice qualcosa del presente. Il tizio che ce l’affitta si mostra amichevole, ma è tutto per finta. Finto amichevole nell’indicare sul tavolo finti biscotti per finte colazioni. Finto amichevole, ma preoccupato per le recenti spese di ristrutturazione e quanto durerà il buco legislativo degli affitti senza tasse. Farà in tempo a estinguere il mutuo?
É il mood del presente: con Livia lo chiamiamo “il finto vero”.
Finte ditte artigianali, come una volta, alla vecchia maniera, tutte uguali. Scivolo nel paradosso, lo so, è che vorrei un posto autenticamente merdoso, una squallida stanza d’albergo, una triste piadineria marcia, ma è chiedere troppo.
[Segue elenco dei film visti con una breve scheda. Ma forse scheda è eccessivo]
La Jetée, C. Marker
Probabilmente il più grande film della storia del cinema. E non è nemmeno un film, ma un fotoromanzo.
Se non l’avete visto, lo trovate qui.
Anticipazione o L’amore nel 2000, J-L Godard
Parla di tecnica e amore, “acido e romantico”. E niente, qui Godard semplicemente si inventa un linguaggio. Ritroviamo la musa Anna Karina, amore-sentimentale che seduce noi e il protagonista suonando un pettine. Vien voglia di uccidersi per lei, da quanto è bella, e che spreco la vita se non le posso stare accanto.
Il nuovo mondo, (episodio di Ro.Go.Pa.G), J-L Godard
Il film afferma che i nostri problemi personali continueranno a catalizzare la nostra attenzione fino a un secondo prima che esploda il mondo.
La nave delle donne maledette, R. Matarazzo
Anni ’50. Tutto è uguale a come sempre è stato (il bene da una parte, il male dall’altra), però è cambiato tutto. Sono comparsi i seni, vero protagonista del film. Il passo da qui a M.Houellebecq è brevissimo. Tutto quello che leggeremo nelle pagine del francese (e nel presente) è già contenuto in queste scene, in questi punti di fuga che si perdono nelle scollature (fuga nella bocciofila).
Mi domando cosa dicono i film di oggi di quello che seguirà, di quello che desideriamo e che desidereremo domani, o addirittura tra sessant’anni. Qual è il protagonista del presente?
Forse l’ano?
A quiet passion, T.Davies
-Di cosa parla questo film?
-Della poetessa Emily Dickinson.
-Ma di cosa parla in verità?
-Di una persona problematica che scriveva poesia che avrebbero superato il suo tempo mortale.
-Sì, ma di cosa parla veramente?
-Del rapporto tra fratelli.
-Secondo te Livia?, chiedo a Livia
-Di una donna analizzata nel suo essere brutta, ecco qua. Come la sua bruttezza abbia influenzato la sua vita. Il quadro è impietoso, o meglio è pietoso, ma ne esce un personaggio, cosa rarissima, difficilissima, un personaggio in tutte le sue sfaccettature.
-Ok. Sarà.
Porto, G. Klinger
Ci voleva il giovane regista americano, già leone d’oro per il miglior documentario nel 2013, ci voleva lui a ricordarci che Porto sia un luogo dove si potrebbe vivere, e che le sigarette siano il miglior amico degli sceneggiatori che non hanno la più pallida idea di cosa far dire ai loro personaggi immaginari.
L’attore protagonista, A. Yelchin morto di recente schiacciato dalla sua auto, ha come miglior dote attoriale (non scherzo) quella di camminare nella maniera più credibile al mondo. Cammina che sembra vero.
Unico film in concorso che abbiamo visto, niente di che. Mentre io dicevo quella cosa di come camminava bene Yelchin, Livia mi diceva che per quanto il regista si fosse sforzato di fare un film sull’amore, non era riuscito a fare altro che un film su una scopata.
(Intermezzo) Domenica a pranzo abbiamo mangiato nella tipica focacceria finto-vera. Cuscinetti un po’ alla francese, la focaccia alla vecchia maniera. La musica però rivelava l’artificio: elettro-pop da discoteca, a tutto volume, sul cui ritmo si muovono le panettiere finto-vere, e le loro facce stanche. Era già ora di tornare al cinema: le panettiere-operaie mi salutavano appena con un cenno della testa, come per inerzia o per coerenza con i bassi della radio.
Invece ieri ho visto il futuro. C’è una sezione del Festival (la mia preferita) che si chiama: Cose che verranno. Mentre andavo da un cinema all’altro, ho visto il futuro. Erano i lavoratori a cottimo di Just Eat, Deliveroo, Foodora, con le loro biciclette che aspettavano arrivasse la chiamata della consegna successiva. Tra un cinema e l’altro, ho visto il futuro.
Between us, R.P. Illingworth
Film accurato. Su una giovane coppia di trentenni americani. Film d’apertura del Festival. Per ora il migliore, a sentir Diana. Io mi sento di dire solo: accurato.
-Scusa Livia, ti ricordi mica cos’altro ho detto di questo film?, le chiedo.
-Hai detto che ti è sembrato accurato.
-Nient’altro?
-No.
Poi mi ricordo che ho detto qualcosa dell’impossibilità che è la coppia sentimentale. Ogni coppia.
Allora Livia mi ha guardato, mi ha preso da una parte e mi ha detto che forse la gente dovrebbe un po’ rilassarsi sulla questione “coppia”, abbassare le aspettative e non pensare che debba esaurire la nostra vita. Una cosa tranquilla.
-Tipo la morale provvisoria in Descartes?
-Tipo.
-E quindi hai risolto la questione della coppia. Fermi tutti qua sotto questa galleria, Livia ha appena risolto il problema bi-millenario della coppia, ho urlato.
Ilegitim, A. Sitaru
Praticamente la Romania oggi è come l’Italia nel 1962, dico non solo da un punto di vista del cinema e di registi che spaccano di brutto (Romanian New Wave), ma anche:
- numero di fumatori
- abbigliamento maschile
- numero di automobili e incidenti d’auto
Il film in questione (aborti/incesti) mentre lo vedevo mi sembrava molto poco buono. La roba ibrida tra fiction e documentario non mi ha mai convinto fino in fondo, né coi Taviani di Cesare deve Morire, né ora. Ma poi il regista se ne esce con un finale da maestro, e che conferma in generale la sentenza per cui il finale di un film decide il giudizio complessivo. L’ultima parola.
L’avenir, Mia Hansen-Løve
Niente di buono. Non tanto il film in sé, che è piano, pulito, liscio, e in definitiva sembra girato non da una regista nata nel 1981, ma nel 1961. Niente di buono dico nell’avvenire in sé: la morte (ok, si sapeva), ma prima un sacco di roba pesante e triste. Per un momento, guardando questo film, ho pensato che la soluzione fosse trasferirmi in campagna, ma poi no, la soluzione non c’è, o piuttosto è essere poveri e ignoranti. Così tutto sarà in discesa, e guadagnato. Di certo la soluzione non verrà dalla filosofia. No.
Yoga hosers, K. Smith
Il regista culto di Clerks dirige un film su quindicenni canadesi fissate con lo yoga che devono affrontare dei minuscoli nazisti wurstel.
A parte questo è un film molto semplice, molto classico.
Pubblico in delirio, applausi a scena aperta, cammei, citazioni e inside joke che io, non conoscendo l’opera completa, mi perdo, e mi va bene così.
Poca roba.
Morris from America, C. Hartigan
Il mio preferito di questi tre giorni di Festival.
Tredicenne americano from the block si trasferisce con il padre a Heidelberg, Germania. Non sarà un capolavoro, ma commuove. Tratta dell’adolescenza, che è forse il tema che più mi piace, che più mi interessa in assoluto. Non so perché, se perché è drammatica, perché non ritorna, perché ci siamo passati tutti, e ci accomuna. Il film sta là, laggiù in fondo: ripenso a me tredicenne, mi sembra di ricordare niente, ma era un disastro, era da piangere, era a tratti bello perché molte cose sembravano possibili.
(Secondo Intermezzo) Al pranzo del lunedì, tra film e film, ho avutola percezione −la pioggia, la gente sclerata in pausa pranzo, la loro evidente disperazione− che Torino non sia quel paradiso in terra che uno potrebbe pensare in certi week-end di cieli tersi, luci, luci, film e giubbotti pesanti.
Ikarie Xb 1, J.Polák
Tratto da un racconto di S.Lem (Solaris) il film fu fonte di ispirazione per Kubrick per girare 2001. Insomma l’antenato di ogni film di fantascienza. Quindi prima di vederlo ti aspetti una cosa buona, ma una mezza baracconata (è il 1960 o giù di lì, ti aspetti le astronavi legate con il filo nylon, etc.). Non è così, non è una baracconata. É un film molto elegante, sembra girato da Fellini, sembra girato da un uomo vestito in giacca e cravatta. Non ha un gran finale (finisce bene, mentre per la versione U.S.A. fu creato un altro finale ancora), per essere buono un finale ottimista credo che debba essere straordinario, e non mi è parso il caso. Sarà che avevo sonno, che la gita a Torino con Livia finisce, che tante sono le pagine del programma che non ha nemmeno senso sfogliare, programma che si abbandonerà in un Car2go davanti alla Stazione Porta Nuova, rischiando di perdere il treno. Ikarie, torniamo a casa.
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