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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Un giorno di pioggia a New York | Showtime

13 Febbraio 2020 di Leonardo Biancanelli

Da anni ormai frequento un tale che si sbuccia le dita su tutti i pianoforti su cui gli capita di posare lo sguardo. Ed è seccante stargli dietro, perché ogni stramaledettissima volta che andiamo da qualche parte insieme, e che trova un pianoforte, quello, incurante, si siede e ad alta voce chiede, posso suonare? A quel punto ha già il polpastrello del pollice posato sul bordo di un tasto.

Lo chiede a me, ma che cazzo ne so io; oppure lo chiede al nume tutelare del salotto di questa o quella casa, o di questo o quel locale, o di questa o quella stazione, bar, angolo di città, e io prego per qualcuno che da non si sa dove gridi «No! Non puoi, qui noi non siamo una scuola di danza» e per una buona volta mi risparmierei di sentirlo suonare e di vedergli le gambe muoversi, con il panchetto ben saldo sotto il culo. Ma non succede mai, e cosa posso fare io a questo punto? Avvicinarmi, posargli una mano sul braccio e interrompere il suo omaggio pallido a Bill Evans, e dirgli che non sono lì per sentirlo suonare, non so gli altri, ma non sono lì per quello e che sempre di più mi sta rovinando la vita. «Addirittura la vita?» Il suo è uno show, e se io ho sempre provato imbarazzo per gli show, ancora di più l’ho sempre provato per gli showmen, mi sembrano quei cuochi di un programma di cucina in televisione, che poi buttano via il cibo quando le telecamere non trasmettono.

Ma non ho mai trovato il coraggio di dirglielo, e così mi siedo da qualche parte, e cerco di concentrarmi su qualcos’altro, mentre mi abbuffo di quelle sue suonate da show.

Alla fine mi viene da vomitare, ho la nausea, e ci salutiamo che non ho nemmeno tentato di chiedergli come riesce a tirare avanti in quest’ultimo periodo, a cosa si aggrappa per restare in piedi, e l’unico modo per riprendermi è uscire a fare due passi all’aria fresca, farmi accecare dai fanali delle auto, sedermi sul legno ruvido e sbertucciato di una panchina fuori per strada e chiudere gli occhi.

Non ho il coraggio di staccarmi da lui e dai suoi show, e la verità è che non l’ho mai fatto perché ho paura di rimanere da solo, e anche perché ho paura di rimanere affamato a lungo e così cerco di convincermi che è meglio mangiare quando non si ha fame che non mangiare quando se ne ha parecchia.

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Postato in: La sindrome del personaggio secondario, Lo sfogone, Oceani di autoreferenzialità Tag: Elle Fanning, Intrattenimento, Mee Too, New York, Pianoforte, Pioggia, Selena Gomez, Spettacolo, Timothée Chalamet, Woody Allen Fai un commento

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