Stare seduti in attesa che succeda qualcosa, mentre le ore schizzano via come uova affrittellate su un quadro di Dalì e la memoria si dimostra liquida anche se il lavoro è più solido di una pietra scagliata contro il cielo berciando stringhe criptate di odio e parrucche di sangue e domandarsi come sia possibile che per un giorno intero tutta la tua vita sia stata fatta a pezzi.
È così che comincia uno dei film più film di sempre, il cui titolo venne scelto a caso di fronte ad una birra da due amici perditempo.
Il sole non emette lo stesso quantitativo di luce della luna e questo è facile da dimostrare: me l’ha detto un tipo che dorme sotto i ponti. Soprattutto d’inverno.
I due amici non avevano più uova nel paniere.
Il senso era che…
Il senso era…
Una parrucca di sangue. E due o tre telefonate anonime nella notte. E quella sensazione incredibile che ti coglie sempre (anche a ottant’anni) quando accendi la radio e imbocchi l’autostrada e vai a diritto in quinta fino al prossimo benzinaio senza voltarti indietro. Sono le tre di notte o le quattro del mattino. E una donna ti attende sorridendo sulle strisce. Le strisce pedonali su un’autostrada in mezzo alla pianura padana. Hai il cellulare scarico. Non potrai chiamare l’ambulanza. Quindi avvolgi il cadavere in un tappeto e ti metti a dieta.
Torni indietro.
Le persone magre si innamorano costantemente delle prostitute. O delle rosse. O delle ricciole. Nessuno sa se è vero, ma senza dubbio Cristiano era magro. E non dormiva la notte. Ed era tornato indietro.
Mai tornare indietro.
Mai farsi crescere la barba.
Tagliarsi le unghie dei piedi.
Se sei donna non vergognarsi della masturbazione.
La luce del malore e la luce del bagno.
Il senso era che… dobbiamo ricominciare da capo, ma questa volta con qualche peso in meno.
Ricominciamo.
Uff
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