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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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The Green Inferno | Imperfetto

24 Settembre 2015 di giovanni ceccanti

Annunciati i primi svenimenti nelle sale di tutto il mondo, dopo l’approvazione cinguettata da Stephen King, mi recavo al cinema a vedere The Green Inferno, l’ultimo terrificante film di Eli “Inglourious Basterd” Roth. L’idea che nel film venissero catturati, vilipesi, mutilati, quindi divorati vivi, alcuni volontari ambientalisti esperti della riforestazione e dell’impartire buone maniere alle multinazionali agenti in Amazzonia – lo ammetto – me la faceva prendere bene. L’idea che il film fosse insopportabilmente sadico, tanto da divenire minuto dopo minuto insostenibile alla vista in un climax di corpi corrotti e putrefazione, tra le grida amare e disperate dei presenti chiusi in gabbia: anche questa idea mi poneva in uno stato di benevolenza nei suoi confronti. Del resto conoscevo l’indole di Eli. Hostel 2 mi era parso amabilmente orrendo e soprattutto riusciva nell’impresa non facile di suscitare tutta la mia violenza, impacchettarla e renderla innocua per la società – per la modica cifra di 7 euro e cinquanta.

La settimana prima avevo visto Inside Out, il cartone della Pixar, e ancora mi risuonava in testa l’ultima frase del film, quando ormai Tristezza è diventata il braccio destro di Gioia e si preannuncia che avrà sempre più il suo da fare: “12 anni: cosa potrà mai succedere ancora?”. Allora m’immaginavo la bambina del cartone crescere e diventare uno dei volontari sequestrati nel cuore della foresta peruviana. Immaginavo Gioia cedere prima a Paura, poi a Rabbia, quindi a Disgusto e Tristezza e infine a Orrore Sconfinato e Voglia Di Non Essere Mai Nati.

La mia mente vagava, camminando per la città, e ancora non ero entrato al cinema.

Immaginavo come avrebbero accolto il film in Francia. Il soprannome affibbiato a Deodato dai cinéphiles era “Monsieur Cannibal”, e così come avevano amato Cannibal Holocaust mi vedevo i francesi sbavare per un suo emule tanto esaltato e bravo nel profondere terrore e delirio sulla pellicola. Perché i francesi sono sempre così di larghe vedute, artisticamente parlando?, pensavo. Quindi mettevo mano alla frusta per l’autoflagellazione: perché in Italia, oggigiorno, facciamo solo commedie demenziali o drammoni socialmente impegnati o Sorrentino? Perché il nostro Eli Roth suona nei Tiromancino? E ancora: quando è successo che sono stati aboliti i generi?

Arrivavo davanti al cinema, una spruzzata di rosso all’orizzonte. Sulla locandina leggevo che il film era in anteprima mondiale, usciva cioè in Italia prima ancora che in Usa. Pensa te, pensavo. E poi mi chiedevo, incastrato in questo passato che non passava mai, continuo ed esprimibile soltanto col tempo imperfetto, se davvero il film l’avrei visto o se l’avrei soltanto immaginato – voglio dire – se davvero il film l’avessi visto o se l’avessi soltanto immaginato. E tornai a casa.

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Postato in: L'addetto stampa, Recensioni, Recensioni vere Tag: cannibal holocaust, cinéphiles, eli roth, giovanni ceccanti, Inside out, ruggero deodato, the green inferno Fai un commento

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