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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Sicilian ghost story | Vacanze negli anni ’90

24 Maggio 2017 di Francesca Corpaci

Giugno, prima di ogni altra cosa, è quando finisce la scuola. Finisce, la scuola, anche adesso che ho trent’anni, anche adesso che non finisce più per me, perché per me è finita tanto tempo fa. Quando la scuola finisce iniziano le vacanze estive: un’automobile familiare con il baule magnetico sul tettuccio, la borsa frigo, i blocchi di ghiaccio sintetico e lunghe ore di attesa in autostrada senza aria condizionata, controllando gli aggiornamenti sulla viabilità.

Quando saliamo in macchina mio padre mette su una cassetta, poi fino all’arrivo si sta in silenzio. Fuori scorrono lenti i cavalcavia, da cui i criminali lanciano sassi per uccidere i passanti. I miei genitori non dicono niente, ma io lo so perché l’ho sentito al telegiornale prima di cena. Sono mesi, forse anni che non si parla d’altro. Forse non si è mai parlato d’altro, e abbiamo visto sempre e solo immagini di parabrezza sfondati e pozze di sangue sull’asfalto, gli appuntati con lo sguardo contrito che mimano l’accaduto per renderlo più accessibile alle famiglie intente a trangugiare pasta al sugo.

C’è stata un’estate, avrò avuto otto anni, che ho contato tutti i cavalcavia dal raccordo di Firenze Nord fino all’uscita per raggiungere il paese del Sud Tirolo dove passavamo il mese di agosto. Vorrei ricordare il numero esatto, ma come è ovvio l’ho dimenticato nel momento in cui il rituale ha dimostrato la sua efficacia e la Lancia Dedra ha fatto il suo ingresso nel giardino del cottage in affitto. Chissà poi comunque se sarebbe stato corretto, il numero dei cavalcavia, o se me ne ero perso qualcuno distratta dalla musica. Non importa, non importava. All’interno dell’abitacolo, eravamo tutti ancora vivi.

Un’altra storia che ascolto sempre al telegiornale è quella dei criminali che sciolgono la gente nell’acido. La dinamica è per me tanto spaventosa quanto attraente, perché non riesco mai a metterla completamente a fuoco. In che senso sciolgono la gente? La buttano legata in una vasca e se ne vanno? La addormentano prima? O la mettono dentro già morta? E come si riempie una vasca d’acido, non si rovina? Come si diventa da sciolti? Immagino corpi solidi tramutarsi all’istante in un liquido trasparente e frizzante, come acqua con le bolle.

Penso a questo mentre atterriamo all’aeroporto Fontanarossa. All’uscita del terminal c’è mio zio con la macchina che ci porterà a casa. Come fa, ad esempio mio zio, a non essere continuamente terrorizzato dall’eventualità di essere sciolto nell’acido? Quello che più mi sconcerta è, a mio avviso, la totale arbitrarietà della cosa. Da che dipende? Come ci si arriva? Un sasso dal cavalcavia è un evento molto più prevedibile, o per lo meno contestualizzato e quindi evitabile, basta andare a piedi o fermarsi sempre a guardare, per sicurezza.

Da Catania a Siracusa ci vuole meno di un’ora. La strada è costeggiata da colline riarse, piena di buche e del tutto priva di cavalcavia. Verso il mare, nel buio, si intravedono le fiamme che bruciano sulle ciminiere del petrolchimico, avvelenando l’aria e l’acqua. Nell’ora più bella le cicale cantano fortissimo prima di dormire, e io sprofondo nel sedile sapendo di andare incontro a giorni che non chiederanno altro se non di passare, inerti. Gli adulti, inspiegabilmente indifferenti alla minaccia dello stato liquido, dicono cose tanto per dire. Il viaggio faticoso, la cena fredda che ci aspetta, il tempo che farà. E’ estate, all’interno dell’abitacolo siamo tutti ancora vivi.

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Postato in: Oceani di autoreferenzialità Tag: acido, anni 90, Antonio Piazza, cannes, estate, Fabio Grassadonia, sassi dal cavalcavia Fai un commento

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