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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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Chiamami col tuo nome | Chiamami come ti pare

5 Febbraio 2018 di Redazione

di Francesco Quatraro

Mi sono separato. Separarsi è, fra le altre cose, contrarsi. Tutto il tempo speso prima a mantenere una relazione, tanto o poco, tende a prendere una forma sabbiosa, e per quanto si tenti di valutare con lucidità quel che accade, ogni risultato è vano.
Tempo dopo mi sono innamorato. Innamorarsi è, fra le altre cose, espandersi, e voler andare al cinema insieme. Così il cinema da cui ero rimasto in qualche modo distante è diventato una cosa da fare insieme, e innamorati siamo andati al cinema a guardare una storia d’amore. Ce ne sono di meravigliose, di storie d’amore, e questa era una storia dolorosa e bellissima, come bellissime sanno essere solo le cose anche dolorose, e tutto sommato secondo me si vedeva anche che il regista lo sapeva: c’erano luoghi belli, persone belle, tempi belli e dolorosi, musiche belle e dolorose, e il dolore e la bellezza un po’ si mascheravano tra loro, si velavano un po’ l’uno con l’altra. Poi io al cinema spesso piango, e il regista non lo sapeva ma un po’ secondo me tutto sommato se lo augurava, e quando il dolore ha smesso di mascherarsi e se n’è uscito, bellissimo, allo scoperto, in un quieto e cesellato monologo da padre a figlio, ecco lì ho pianto, un pochino, senza rumore, ed era doloroso e bellissimo, come lo era per la persona con cui avevamo deciso di fare le cose insieme e andare al cinema, che piangeva, un pochino, senza rumore, e ci sentivamo noi, dolorosi e bellissimi e simili perché alla fine siamo innamorati, proprio come quelli del film, coi loro gesti, le loro canzoni, i loro anni Ottanta che sono i medesimi anni in cui siamo nati noi e ne proviamo una nostalgia impossibile, perché non li conosciamo davvero, eravamo piccoli, e probabilmente solo piccoli, né belli né dolorosi. Così ci siamo un po’ asciugati le lacrime e siamo usciti, sapendo che ci eravamo asciugati le lacrime e sapendo che ci stavamo chiedendo quale fosse l’anno preciso in cui alla radio si sentiva Radio Varsavia di Battiato e sapendo anche che da innamorati avevamo visto una storia d’amore che era finita tutto sommato male.
Altro tempo dopo mi sono fratturato un dito della mano. Fratturarsi un dito è, fra le altre cose, distrarsi.
Col gesso del dito fratturato mi sono trovato a portare le figlie a letto, nella loro casa che è la nostra vecchia casa che è la casa di mia madre in cui loro vivono con la loro mamma da cui mi sono separato. Le ho portate a dormire mentre la loro mamma era al cinema. Quando è tornata dormivano, lei è entrata con la sua amica e voleva fumare anche se non ha mai fumato e mi ha chiesto tre cartine che le ho dato. Poi mi sono rimesso le scarpe per andarmene via, e con la difficoltà un po’ comica dell’annodare i lacci con un dito fratturato e ingessato pensavo ai gesti che si fanno di solito senza soffermarcisi, ragionavo del chiudere le dita, del pollice opponibile, dell’uomo diverso dall’animale. Ma il tempo si dilatava e così per non creare tempi morti ho chiesto del cinema alla mamma da cui mi sono separato, cosa avesse visto, come fosse questo Tre manifesti. Mi ha risposto con un’espressione soddisfatta, un’espressione che io ho valutato sopra le righe forse solo perché mi sono separato e allora mi contraggo. Così le ho risposto che io qualche giorno prima avevo visto il film di quella storia d’amore bellissima e dolorosa negli anni Ottanta. Lei ha a sua volta risposto:
«Ma che, Guadagnino? Ma davvero sei andato a vedere Guadagnino? Ma che sei diventato?»
L’ha detto con un accento romano, il suo, ma più romano, più costruito. Io ho pensato che avesse marcato l’accento romano per dare più enfasi alla frase, poi ho pensato che in realtà il film a me non era piaciuto un granché, ma non ho detto niente, anche perché ero riuscito a legarmi le scarpe e a quel punto potevo andarmene. Lei ha aggiunto qualche altra cosa sul film che non aveva visto e che avevo visto io, e aveva le idee chiarissime, sembrava quasi che non avendolo visto l’avesse visto meglio di me. Io sono uscito con le scarpe allacciate, ho salutato, ho pensato che mi ero separato, e che ora ero innamorato, e sarei tornato al cinema innamorato a vedere una storia d’amore, una qualsiasi: non necessariamente bellissima e dolorosa.

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Postato in: La scena tagliata, Oceani di autoreferenzialità Tag: bellissimo e doloroso, chiamami col tuo nome, francesco quatraro, Guadagnino, innamorato, separato 1 commento

Commenti

  1. Monica Fossi Giannozzi says

    8 Febbraio 2018 at 9:28

    Insomma…le è piaciuto o no?

    Rispondi

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