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In fuga dalla bocciofila

Blog dal titolo fuorviante in cui si parla di cinema tra una divagazione e l'altra

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BOHEMIAN RHAPSODY – Rapsodia Animale

18 Dicembre 2018 di Redazione

di Lavinia Ferrone

Essì, a noi ci hanno cresciuto così, siamo questa generazione cresciuta a suon di false speranze, falsi miti, kinder paradiso e tanti tanti schiaffi sul muso: alle poste, alla coop, in tramvia, al semaforo, davvero un sacco di schiaffi. Siamo questa generazione qui che è cresciuta con queste storie qui. Con l’idea che sei in un garage del cazzo a suonare coi tuoi amici no. Poi al bassista, che di solito è il membro più inutile della band, cioè diciamo che lo considerate un po’ quello messo lì ma che se c’era un altro andava bene lo stesso però dai avete scelto lui perché comunque siete amici da una vita e poi perché gli comprate il fumo. E insomma, siete nel garage a provare per la cinquantesima volta la cover di Sweet Child O’ Mine metti, e il bassista è lì che si annoia perché lo escludete da tutte le decisioni e poi tanto anche se dice la sua manco gli date mai retta. Lui allora è lì a sedere sul classico divanaccio a quadrettoni marroni un po’ ‘sgangherato’ (avevo bisogno di usare questo termine naif per rendere meglio l’idea della cosa ok) che si fuma il terzo ranzone della serata e strimpella. E strimpellando gli viene un bel motivetto, e allora mentre voi siete lì a lucidarvi i capelli a vicenda, lui si gira e vi fa:

– Ehi, sentite qui che motivetto

Gli altri lì per lì non se lo calcolano manco per sbaglio, finché il tastierista (che è un po’ l’anima sensibile della band) richiama la vostra attenzione:

– Ehi ragazzi, ascoltate, pensavamo fosse solo bassista e invece sentite qui che motivetto accattivante

– Ehi hai ragione, ma sai che è davvero figo sto motivetto, rifallo un po’, no ma non così dai, come lo avevi fatto prima

E allora, Signori, qui ci troviamo difronte a un cazzo di bivio ok. Perché per come ci hanno cresciuto va così:

– Esatto, così, wow, irresistibile, potremmo intitolarlo, chessò, Another One Bites the Dust e farlo diventare uno dei nostri successi mondiali quando il produttore della EMI ci noterà casualmente mentre fischiettiamo alla fermata della metro

– Sì, mi sembra un’ottima idea.

[voce narrante Banderas] E così la band, dal garage passò a registrare ne li màs grandi studi di rehistrazione del mundo, el loro suhesso durò por años e años finché non gli diede alla cabeza, uno morì de AIDS, un altro de overdose, a uno gli venne la sclerosi multipla e iniziò a scrivere libri su come superare le barriere architettoniche fino a vincere el Nobel por la pace. L’unico que rimase legato a la istoria de la band fu el tastierista, l’alma sensible del gruppo, oltre ad essere quello che scriveva la musica e spesso pure i testi [fine voce narrante Banderas]. Insomma, alla fine, per quanto morti o cose simili, diventarono una leggenda e 45 anni dopo il tastierista ormai vecchio ma comunque sempre lucido, fece questo mega concertone alle Cascine dove migliaia di persone si riversarono per sentire quella che era l’ultima traccia della band che con la sua musica aveva scritto un bel pezzo della storia del rock.

Ecco, questo è come ci hanno cresciuto. Per cui borda tutti a suonare, a prendere lezioni di canto, a fare il master in produzione-di-album-fighi. Tutti a farsi i selfie vestiti di nero e panta leopa hashtag itsmylife, a piangere ai talent show nella speranza di fare un pompino a Mara Maionchi, raccontandole di questo fatto che in adolescenza eravamo obesi ma poi abbiamo trovato la nostra forza nel canto e così non solo siamo dimagriti ma se lei ci dice di Sì diventeremo pure famosi e avremo la nostra rivincita sui compagnetti di scuola che ci sfottevano alle medie e a noi comunque ancora ci rode il culo.

Ma prendiamo un attimo in considerazione la realtà, la realtà vera, quella con cui ci scontriamo ogni giorno e infatti poi ci fumiamo le cannette prima di andare a dormire per immaginare che le cose non stiano andando così. Quella realtà con cui ti interfacci la prima volta che provi ad andare allo sportello della segreteria studenti di lettere metti. Che arrivi lì alle sei e mezzo di mattina con un freddo di dio e hanno già finito i numerini e quando metti a fuoco la vista inquadri il capannello di studentesse calabresi che fanno le fotocopie mentre aspettano, perché sono state loro a finirli i numerini, e sono pure così organizzate che dopo cinque ore che siete ancora lì ad aspettare perché a sto punto hai detto ‘Ce provo, metti che qualcuno molla’, loro c’hanno pure le provviste, pure i panini al prosciutto cotto avvolticciolati nella stagnola per riuscire a resistere e arrivare allo sportello cazzo, perché sono delle fottute macchine da guerra che sanno esattamente come gira il mondo, mentre te sei lì al freddo, solo, e la macchinetta delle bottigliette dell’acqua ti ha pure fregato due euro.

Ecco, l’altra strada del bivio ci conduce a questo tipo di realtà per cui dovrebbero dirci le cose come stanno, cioè noi lo sappiamo però secondo me dovrebbero dirci la verità, senza dover andare a spulciare interfacce di fakenews che poi lo sai che forse forse a me non mi sembra così una stronzata.

Allora dovrebbero dircelo che anche se hai una bella voce non è detto che diventi Freddy Mercury, o che vai al Grande Fratello vip e poi apri una pizzeria a taglio, ma che cazzo, va bene lo stesso.

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Postato in: Oceani di autoreferenzialità, Recensioni vere, Sono figo solo io Tag: antonio banderas, Calabria, freddy mercury, Grande fratello Vip, lavinia ferrone, Mara Maionchi, Pompino Fai un commento

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